Perché l’alopecia si chiama così? Questo termine deriva da alopex, una parola greca che vuol dire volpe: una scelta non casuale, dal momento che le volpi tendono a perdere il proprio pelo a chiazze. Quando si parla di alopecia, infatti, si fa rifferimento a una riduzione della qualità dei peli e dei capelli, i quali – di conseguenza – tendono a diradarsi in modo progressivo o addirittura a scomparire. Tale condizione può essere declinata in molteplici forme, e anche per questo motivo è piuttosto comune tra le persone; al di là delle conseguenze fisiche che può innescare, rischia di causare problemi di non poco conto dal punto di vista psicologico.
L’alopecia androgenetica
L’alopecia, dunque, può essere di diversi tipi: per esempio l’alopecia androgenetica, che corrisponde alla condizione conosciuta con il nome di calvizie. Si tratta della forma della patologia più diffusa, visto che interessa 4 uomini su 5. A differenza di quel che si pensa comunemente, inoltre, anche le donne ne soffrono: più o meno 1 su 2, soprattutto dopo la menopausa. Tra i maschi, l’alopecia androgenetica presuppone un graduale diradamento dei capelli a cominciare dalla chierica e dalle tempie: esso si estende, poi, sul resto del cranio. I capelli rimangono solo nella zona al di sopra delle orecchie. Diverse sono le conseguenze, invece, per le femmine: in questo caso il diradamento diffuso interessa quasi unicamente la parte superiore della testa.
Le origini dell’alopecia androgenetica sono di natura ormonale, nel senso che la malattia è causata da una sensibilità esagerata agli ormoni androgeni da parte dei follicoli piliferi: è per questo motivo che i capelli si indeboliscono sempre di più, fino a richiedere interventi come quelli messi in atto dagli esperti di Cesareragazzi. Il processo che si verifica è praticamente l’opposto di quello che si concretizza in età puberale: in quegli anni, infatti, i peli delle ascelle e del pube diventano più lunghi e più robusti. Il progresso dell’alopecia androgenetica è inevitabile e non può essere arrestato se si interviene in ritardo: ovviamente la predisposizione individuale condiziona la velocità di caduta. Non bisogna preoccuparsi più del dovuto, però, visto che il decorso può essere contrastato con dei trattamenti farmacologici ad hoc. Si ricorre, tra l’altro, al minoxidil, che è una molecola efficace sia per le donne che per gli uomini: i primi risultati si possono notare a sei o sette mesi di distanza dall’avvio del trattamento, ma a condizione che non vi siano interruzioni nella terapia. Adatta solo agli uomini è, invece, la finasteride.
L’alopecia areata
Chi soffre di alopecia areata, invece, deve fare i conti con la caduta – che può essere totale o parziale – delle sopracciglia, delle ciglia, dei capelli e dei peli. L’alopecia areata si differenzia da quella androgenetica perché è una malattia autoimmune: in pratica i follicoli piliferi vengono aggrediti per sbaglio dal sistema immunitario, per colpa di una predisposizione genetica. Non è un caso che la patologia si presenti nel corso dell’infanzia o comunque in giovane età, vale a dire nel momento in cui si verifica uno sconvolgimento delle difese immunitarie. Non è vero, a differenza di quel che si pensa spesso, che la patologia ha un’origine psicosomatica.
Lo stress, insomma, non causa l’alopecia areata, ma è solo l’evento che innesca la malattia nelle persone che comunque prima o poi ne sarebbero colpite. Infatti, anche se lo stress sparisce, l’alopecia resta tale, a meno che non venga trattata. Il problema è che allo stato attuale non è ancora stata individuata una cura definitiva, mentre l’esito delle terapie è sempre soggettivo.