Chi ha avuto una crisi di panico nel corso della sua vita, difficilmente si dimentica di questa esperienza. Infatti, il primo attacco di panico, è come un uragano della mente che rimane impresso per la sua imprevedibilità e irruenza: “la prima volta che mi è successo è stato qualche estate fa. Mi trovavo al mare con alcuni amici per festeggiare la fine dell’anno accademico, quando una sera, dopo aver bevuto qualche bicchiere, ho iniziato a sentire un giramento alla testa, offuscamento alla vista e in modo improvviso un’accelerazione del battito cardiaco con forte sudorazione. Ho pensato subito che stavo per morire. Il mio corpo agiva da solo, ero teso, non riuscivo a parlare e respirare. I miei amici si sono subito preoccupati e non riuscivano a capire cosa mi stesse succedendo, hanno perciò chiamato l’ambulanza e al pronto soccorso, dopo tutti gli accertamenti, mi hanno detto che ero sano come un pesce, era stata una crisi di panico! Nonostante questa diagnosi l’intorpidimento, la confusione è rimasta per qualche ora. Solo dopo aver preso qualche goccia di benzodiazepina mi sono tranquillizzato. Purtroppo è stata la prima di molte altre crisi…”
Questa è solo una delle tipiche descrizioni che fanno i pazienti quando richiedono un aiuto psicoterapico per le crisi di panico, che generalmente durano pochi minuti, ma causano alla persona una considerevole angoscia. Oltre ad allarmanti sintomi fisiologici come dispnea, vertigini, sudorazione, tremore, tachicardia, i pazienti spesso hanno la sensazione di morire, di perdere il controllo o di impazzire. Questa condizione è molto comune, anche se vi è una certa variabilità sintomatologica al suo interno. Di solito il soggetto va incontro a brevi periodi critici, con sintomi somatici più o meno evidenti ed un forte senso di sofferenza. La crisi di panico non è comprensibile per la persona ed è totalizzante, schiacciante; l’ansia di provare nuovamente quest’esperienza la porta a limitare anche vistosamente le proprie attività, evitando situazioni che potrebbero agevolare un nuovo attacco.
Ma cosa scatena una crisi di panico? È possibile rispondere a questa domanda secondo due punti di vista. Rispetto agli eventi di vita, possiamo individuare nella storia delle persone che soffrono di questa condizione, situazioni stressanti o la separazione da figure significative (compreso il lutto) prima dell’insorgenza dell’attacco. Mentre rispetto alle caratteristiche neurofisiologiche, sembra che i pazienti con frequenti crisi di panico abbiamo una maggiore sensibilità all’ansia, ossia un timore elevato di poter sperimentare sensazioni associate all’arausal (come aumento del battito cardiaco, vertigini, sudorazione ecc.) in quanto ritenute dannose, credenza che deriva sia da una base temperamentale (il bambino può nascere con una maggiore predisposizione all’attivazione emotiva) sia dalle esperienze educative genitoriali.
Infatti, solitamente, queste persone sono stati bambini iperprotetti o con figure di riferimento spaventanti rispetto alle emozioni o alle sensazioni fisiche. Data questa paura per qualunque modificazione corporea e fisiologica vi sarà maggiore probabilità (a seguito di un periodo di vita stressante) che la persona riconosca i normali segnali inviati dal suo corpo come pericolosi. Tale credenza rispetto alla pericolosità non farà altro che aumentare l’ansia e l’attivazione, fino ad arrivare alla crisi di panico, secondo un circolo vizioso autoperpetuante.
Questa condizione è ciò che porta solitamente alla strutturazione di un vero e proprio di disturbo di panico, ma in realtà le crisi di panico possono essere presenti in molti disturbi psicologici e psichiatrici (come nel disturbo borderline di personalità, il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo ossessivo compulsivo ecc.). Esse diventano un vero e proprio disturbo quando sono ricorrenti, inaspettate e vi è una continua preoccupazione della minaccia del loro ritorno. In quest’ultimo caso possiamo parlare di disturbo di panico, una condizione invalidante che interessa dal 2 al 6 % della popolazione, che può portare a limitazioni nella vita della persona tanto che spesso ne consegue una condizione di depressione.
Quindi nel momento in cui le crisi si strutturano in un vero e proprio disturbo è utile chiedere aiuto, più velocemente possibile, al fine di evitare che si cronicizzi. Proviamo a rispondere ad alcune domande per capire se siamo di fronte a tale problematica: negli ultimi mesi vi sono stati frequenti e ricorrenti attacchi di panico?
Vi sono stati almeno quattro tra i sintomi di seguito elencati durante le crisi di panico? Palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea o sensazione di soffocamento, dolore o fastidio al petto, nausea, vertigini, sensazione di svenimento, brividi o vampate di calore, sensazioni di torpore o di formicolio, derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o di “impazzire” e paura di morire.
Dopo la prima crisi vi sono state preoccupazioni persistenti per l’insorgere di altre crisi e per le loro conseguenze?
Vi è stata una significativa alterazione dello stile di vita o un disadattamento correlato alle crisi di panico?
Se le risposte a queste domande sono positive è possibile che sia necessario un intervento psicologico e psicoterapeutico di tipo cognitivo comportamentale che fornisca la spiegazione delle cause per le quali si è arrivato a questo disturbo e gli strumenti utili per interrompere i circoli viziosi che portano all’insorgenza delle crisi. Questo tipo di terapia è stata riconosciuta efficace tanto quanto i farmaci nel trattare tale disturbo, fornendo però in più delle strategie utili che favoriscono la stabilità e il ritorno alla normalità nel lungo termine. Si tratta di un intervento su più livelli che parte dalla conoscenza del disturbo e dei suoi circoli viziosi che lo mantengono, come ad esempio sapere che lo stato di crisi è solo adrenalina presente nel corpo e che si possono avere queste sensazioni sentendosi comunque al sicuro, in quanto sappiamo che è una condizione innocua e passeggera. Successivamente modificare le credenze in merito all’ansia e alle reazioni fisiologiche e infine esporsi gradualmente agli stimoli temuti per osservare che sono solo normali, innocue reazioni del nostro corpo e con un significato non catastrofico.
Talvolta è necessario ampliare la terapia, quando sono presenti sintomi agorafobici nel disturbo di panico. Ci riferiamo all’agorafobia quando la persona prova forte ansia nelle situazioni in cui sarebbe difficile e imbarazzante allontanarsi e vi è il timore di non poter ricevere aiuto se si venisse colti da una crisi di panico. Il soggetto per evitare l’evento temuto cerca di limitare al massimo gli spostamenti e quando è costretto ad uscire si fa aiutare da qualcuno. Come è intuibile in questo caso è importante comprendere quale siano le credenze in merito al fatto di poter restare da soli e che funzione ha colui che funge da accompagnatore. Inoltre le esposizioni potranno essere svolte in immaginazione o in vivo, mantenendo sempre il criterio di gradualità che favorisce l’abituazione all’ansia e alla situazione temuta.
Per concludere possiamo considerare gli attacchi di panico come qualcosa di molto spiacevole, ma fondamentalmente innocuo. Spesso se non vengono trattate si possono cronicizzare in un disturbo, che può diventare invalidante e limitante la nostra vita. Fortunatamente, essendo un disturbo diffuso e quindi anche ampiamente studiato, sono stati ideati protocolli terapeutici molto efficaci, che aiutano la persona a riprendersi in mano la propria vita e una volta trattate a vedere le proprie crisi come un lontano ricordo.